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Olivero: le preghiere mi hanno salvato

Covid-19, la malattia e la rinascita del vescovo di Pinerolo. Lo sguardo rivolto al futuro carico di speranza e fiducia

Quasi cinquanta giorni d’ospedale per Covid-19, la morte sfiorata e il ritorno alla vita. Tra i numeri tragici dei bollettini quotidiani dei contagiati  il 19 marzo è comparso anche il suo nome: Derio Olivero, Vescovo di Pinerolo. Trasportato d’urgenza dal Vescovado all’ospedale  di Pinerolo ha attraversato tutto il percorso più pesante di cure compresa l’intubazione e  la tracheotomia. Decine di migliaia di persone hanno pregato per lui, tanti amici, fedeli, fratelli di altre religioni hanno sperato nella guarigione.  E questo don Derio lo ha sentito. <Sono vivo per miracolo> confessa, quando racconta del periodo in rianimazione  ricorda che <Ci sono stati due o tre giorni in cui sentivo con chiarezza che stavo morendo. Prima di essere intubato i medici mi hanno avvisato che la situazione era molto grave. Avevo coscienza che di coronavirus si muore, anche se all’inizio si pensava che riguardasse solo le persone molto anziane. Accanto a me è morto un uomo che aveva pochi anni più di me, sapevo quindi che poteva toccare anche la mia vita>.

I primi giorni dopo il suo <risveglio>, sono ancora vividi nella sua memoria, rammenta la sensazione che ha provato, quasi come <se tutto intorno evaporasse. Davanti alla morte non si può barare, si comprende chi si è veramente. Mi sono rimaste solo due cose: la fiducia in Dio e le relazioni>. Ancora dall’ospedale non si è risparmiato nel raccontare la sua esperienza,  nel trasmettere con sincerità le emozioni, i sentimenti che hanno attraversato il suo cuore. <Se qualcuno prima mi avesse chiesto se avevo paura di morire avrei risposto di sì. Ma quando ho percepito che stavo morendo ho sentito solo calma, non ero agitato o spaventato. E questo ho capito dopo è solo grazie a chi ha pregato per me. La preghiera è davvero potente, mi ha tenuto in vita>. Dal suo rientro a casa, il 5 maggio, ancora convalescente tra la fisioterapia e il riposo forzato impegna ogni minuto per vivere questo tempo come una  nuova opportunità per cambiare in meglio la società e la Chiesa . <La pandemia – insiste con forza – non è stata una parentesi chiusa e tutto ricomincia come prima. Questa deve essere una  opportunità per riflettere, tutto ciò che ci ha coinvolti ci spinge a vivere in modo nuovo la pastorale, di essere Chiesa. Mai come in questo periodo ho visto momenti di preghiera nelle famiglie. Nuove energie e attività nelle parrocchie. Abbiamo scoperto e riscoperto tante cose>. Suggerisce quindi di ascoltare questo tempo che <ci parla.    Papa Francesco, ormai da sette anni, ci sta dicendo di non tornare indietro, ma di guardare avanti. Noi semplicemente dobbiamo renderci conto che la Chiesa di prima non era la Chiesa perfetta. Questo tempo ci dice che dobbiamo essere Chiesa in uscita. Abbiamo dovuto chiudere le  chiese, per forza di cose abbiamo provato a vivere la nostra fede in un altro modo. Questo tempo ci offre l’occasione di sentirci vicini a coloro che, per varie ragioni, non andavano più in chiesa e che eppure facevano riferimento al cristianesimo. Dovremmo essere più cauti a giudicare i non praticanti e i non impegnati>.

Il suo desiderio di comunicare, di non sprecare neppure un minuto, la volontà di ringraziare e di condividere ciò che ha vissuto, ma soprattutto di ciò che si può e si deve mettere in atto per non sprecare ciò che abbiamo vissuto, perché come dice papa Francesco: <peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla> è molto forte, ed è così che  in breve tempo ha già scritto alcune lettere ai <suoi preti> e a tutti  in cui ha richiamato  l’importanza di «nutrire la propria spiritualità con momenti di riflessione sulla Parola, con attimi di silenzio» oltre a <creare momenti per le relazioni. Altrimenti rischiamo di diventare funzionari. Dobbiamo creare una Chiesa che viva di relazione. Lo chiedo a me stesso, prima di tutto. Dobbiamo riscoprire la vera dimensione del laico che dopo il Concilio si è persa. Il laico non è anzitutto l’impegnato. Il laico è colui che porta la propria gioiosa fede là dove vive e che dona un po’ di passione e speranza dove vive la quotidianità>. Per accogliere gli insegnamenti e le provocazioni che la pandemia ha portato nella Chiesa e nella società, mons. Olivero ha chiesto ad alcuni amici, voci tra le più significative della Chiesa italiana, di offrire un proprio contributo per pensare un futuro in cui non tornare semplicemente a «come eravamo prima», è nato così <Non è un parentesi. Una rete di complici per assetati di novità>, edito da Effatà  con il contributo di Duilio Albarello, Ester Brunet, Paolo Curtaz, Marco Gallo, Andrea Grillo, Alberto Maggi, Antonio Scattolini, Ivo Seghedoni e Michael  Davide Semeraro.

Instancabile, mentre curava l’edizione di questo libro, andava in stampa un altro suo contributo realizzato con il giornalista di Famiglia Cristiana, Alberto Chiara, per Edizioni San Paolo, <Verrà la vita e avrà i tuoi occhi>. Nella prefazione Matteo cardinale Zuppi svela: <Derio ha scelto come titolo di parafrasare quello di una raccolta postuma di poesie di Cesare Pavese (Verrà la morte e avrà i tuoi occhi). Nei suoi, vedo rispecchiata la luce dell’amore per una Chiesa di comunione, di rapporti che diventano presenza di quel Dio che cerca la relazione con ogni uomo perché sia pieno della forza del suo amore. Dio «vede in noi, al di là delle nostre fragilità, una bellezza insopprimibile. Con Lui ci riscopriamo preziosi nelle nostre fragilità. Scopriamo di essere come dei bellissimi cristalli, fragili e preziosi al tempo stesso. E se, come il cristallo, siamo trasparenti di fronte a Lui, la sua luce, la luce della misericordia, brilla in noi e, attraverso di noi, nel mondo». Ecco perché in questo libro c’è tanta sofferenza ma anche tanta luce per il nostro cammino>.

Chiara Genisio