Le povertà non sono solo quelle di un certo numero di persone che ci chiede aiuto e sostegno ma sono ormai parte integrante della nostra comunità ecclesiale e civile, a sottolinearlo è stato l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, il giorno di Natale. Lo ha fatto citando i tanti casi di povertà che oggi coinvolgono un numero sempre crescente di persone. Sono ha elencato: <i volti delle fragilità sempre più trasversali perché, ormai, nessuno può più dirsi sicuro di fronte all’evolversi spesso imprevisto della situazione. Penso ai tanti piccoli esercizi commerciali che hanno abbassato la saracinesca. Penso a tanti lavoratori che vivono il dramma della disoccupazione e a tanti cinquantenni che rischiano di essere espulsi dal mondo del lavoro e rischiano di non trovarne più uno o a tantissimi giovani che nemmeno più lo cercano tanto sono delusi dall’aver bussato invano a tante porte chiuse o vivono la precarietà permanente di lavori sempre saltuari. Penso alle ditte artigiane o imprese piccole e medie costrette a fermarsi in modo improvviso. Penso alle famiglie sottoposte a provvedimento di sfratto nonostante la morosità incolpevole. Penso a quello zoccolo duro di fratelli che vive in strada e continua a farlo per mancanza oggettiva di prospettive. Penso alle difficoltà di un numero sempre crescente di migranti e di richiedenti asilo, approdati tra noi ancora in bilico tra diritti e accoglienza. Penso alle famiglie che si frantumano su relazioni interpersonali difficili e che pagano, soprattutto nei figli, il prezzo alto dell’abbandono. Penso alle persone anziane e sole colpite da una acuzie sanitaria e in seria difficoltà per una vita solitaria. Penso ai disabili, troppo compatiti e poco ascoltati. Penso ai carcerati in fase di uscita, rimbalzati dal muro di gomma costruito in ragione degli errori commessi, scontati e – forse – non perdonati>.
Nosiglia invita quindi a <non accettare la cultura dello scarto, perché abbiamo le potenzialità e la passione per generare solidarietà e accoglienza. In mezzo a tanta sofferenza emerge un esercito di persone che con spirito di gratuità e fraternità investono se stessi, il proprio tempo e risorse per sostenere e accompagnare chi soffre o è in difficoltà. Molte famiglie poi trovano in se stesse o attorno a sé, quella rete di solidarietà che permette di mettere insieme le risorse e gestire la crisi almeno per quanto riguarda il cibo e l’affitto di casa>. Ha ancora una volta richiamato tutta la comunità, ma soprattuto i politici a non abbandonare gli operai dell’ex- Embraco. Nosiglia è l’unico che in questi anni non li ha mai lasciati soli, ed ha continuato a cercare aiuto per loro. Ha ricordato che tre anni fa, proprio a Natale sembrava che i problemi potessero essere affrontati con serietà. <Purtroppo – ha riferito – anche questa volta il ministro non si è presentato come anche altre istituzioni locali che avevano promesso di essere presenti. Mi addolora molto vedere come vengono trattati i lavoratori che non esprimono alcuna pretesa, ma chiedono solo di essere riconosciuti come le persone che più di tutti soffrono e portano il peso della realtà che rischia di deteriorarsi sempre di più. Sembra che essi diano fastidio alle istituzioni, le quali hanno il dovere di ascoltarli e aiutarli a superare l’attuale precaria situazione. Non c’è maggiore spregio di una persona quando questa privata della sua dignità ha la sensazione di non contare niente in una realtà che pure la riguarda in prima persona>. L’Arcivescovo sostiene quindi che <on possiamo accettare come comunità cristiana e civile in silenzio e rassegnazione questa situazione. Non possiamo accettare che la cultura del profitto incrini l’identità sociale di un territorio. Dobbiamo reagire per allontanare la paura e il disorientamento: il dramma che stanno vivendo questi nostri fratelli deve essere assunto con grande impegno e viva partecipazione dalle nostre comunità e da ogni persona di buona volontà. Malgrado tutto ciò non dobbiamo nemmeno arrenderci all’inevitabile, ma agire insieme e con convinzione per non perdere mai la speranza>.