Ogni situazione di crisi e di emergenza costringe a una verifica realistica di ciò che, nelle condizioni più ordinarie, viene spesso dato per ovvio e acquisito, evidenziando con precisione luci e ombre, positività e carenze, ripiegamenti e slanci. Così è anche per l’attività caritativa della Chiesa, e all’interno di essa per la Caritas, in questo tempo tragicamente contrassegnato dalla guerra in Ucraina. Occorre riflettere su questa attività e trarne insegnamento anche per il futuro.
Una prima cosa che va positivamente segnalata, e di cui occorre essere veramente grati al Signore, è lo slancio di generosità che tutte le componenti della società italiana, e non solo le comunità ecclesiali, hanno dimostrato fin dall’inizio della crisi umanitaria provocata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Uno slancio che la Caritas ha contribuito e continua a contribuire a stimolare, a indirizzare, a rendere stabile nel tempo. Senza, ovviamente, alcuna pretesa di esclusività: la carità non ha copyright e ogni iniziativa di bene, da qualsiasi parte provenga, è comunque un riflesso dell’amore misericordioso di Dio e porta un po’ di luce nelle tenebre della guerra.
Una generosità – e anche questo è un dato molto apprezzabile – che si sta rivelando saggia e attenta alle reali esigenze di chi è nel bisogno. Quando nasce un’emergenza è purtroppo facile, in perfetta buona fede, procedere in maniera disordinata e senza coordinamento, offrire aiuti che non servono, disperdere preziose risorse.
In questa occasione, per esempio, la Caritas ha suggerito di non raccogliere indumenti, cibo o altro materiale, ma di dare offerte in denaro da destinare alle Caritas dell’Ucraina e delle nazioni confinanti, dove la maggior parte dei profughi vuole comprensibilmente restare (in Italia e in altre nazioni europee giunge soprattutto chi ha già delle relazioni parentali o comunque dei contatti con persone provenienti dall’Ucraina e presenti da tempo nei diversi Paesi). Positivo è anche il fatto che molte famiglie italiane e altri soggetti comprese molte parrocchie, spesso sostenuti dalle Caritas diocesane, si siano impegnati nell’ospitare donne e bambini provenienti dall’Ucraina, con un impegno in prima persona che è certamente più significativo di una semplice offerta. Lo stile di Caritas è quello di coinvolgere il più possibile le comunità nell’azione di aiuto verso chi ha bisogno: la prima necessità sia di chi è aiutato, sia di chi aiuta è instaurare delle relazioni che fanno crescere in umanità. Sempre continuando a segnalare ciò che c’è di positivo, occorre evidenziare l’intima connessione che, in questa occasione, sta sempre più emergendo tra preghiera e carità. Pregare per la pace e insieme porre gesti concreti di carità, di accoglienza, di fraternità è qualcosa di importante per ogni comunità cristiana.
Esiste, poi, tutto un ambito di azione della Caritas (di quella italiana e di quelle diocesane e parrocchiali) che le compete in forza della caratterizzazione pastorale che papa Paolo VI le ha assegnato fin dalla sua origine 51 anni fa. La Caritas non è, infatti, una Ong o un qualsiasi altro ente del terzo settore: tutte realtà preziose e degne di stima come pure tutte le istituzioni pubbliche e private impegnate nel campo della solidarietà e dell’assistenza. Suo compito specifico è quello indicato nell’articolo 1 del suo statuto: «Promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica». La testimonianza della carità anche in questa situazione, una testimonianza fatta di gesti concreti e non solo di belli enunciati, deve quindi riferirsi a quattro valori e sempre in un’ottica pedagogica: lo sviluppo integrale dell’uomo, la pace, la giustizia, il privilegio per gli ultimi.
In questo tempo di confronto e di dibattito anche all’interno della Chiesa sulle tematiche della guerra, della pace, degli armamenti… la Caritas può offrire un prezioso contributo proprio tenendo insieme questi valori. Non è possibile l’azione per la pace senza che ci sia un riferimento alla giustizia, all’integralità dello sviluppo umano e all’attenzione per i poveri. Non può esserci una vera pace senza la denuncia di chi viola i diritti dei popoli, come non può esserci pace senza libertà, senza sviluppo economico, senza cura della casa comune o dimenticando i poveri, che sono i primi danneggiati dalla guerra e dalle sue conseguenze.
L’approccio pedagogico evidenzia anche l’importanza di un’azione per la pace che preveda una realistica gradualità, una continuità nell’impegno, un coinvolgimento personale. Qualcuno ha detto che se esiste una terza “guerra mondiale a pezzi” – cosa più volte ricordata da papa Francesco – è necessario costruire “una pace a pezzi”, un po’ alla volta, vedendo che cosa è possibile fare, evitando di fermarsi ad affermazioni di principio che rischiano di non avere alcuna efficacia concreta. Occorre, poi, una vera continuità e perseveranza nell’impegno per la pace: se si smette di andare avanti sulla strada della pace, si scivola inevitabilmente nella guerra. Infine, è necessario uno spendersi in prima persona, verificando anzitutto i propri pregiudizi, le proprie emozioni e anche i propri peccati contro la pace per poi agire con un cuore purificato e riconciliato a favore della pace e della giustizia.
(fonte Vita Pastorale)