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Repole: rileggiamo i testi conciliari

A Casale per i Cantieri Speranza un incontro sul Concilio Vaticano II con il vescovo Sacchi, l'arcivescovo di Torino e l'emerito Pacomio

Sono trascorsi 60 anni da quell’11 ottobre 1962 in cui si aprì il Concilio Vaticano II.  Un evento che ha letteralmente ridisegnato la Chiesa e che ancora oggi non ha perso nulla della sua attualità. La Diocesi di Casale Monferrato ha sottolineato l’anniversario con una riflessione nella chiesa di Sant’Antonio, giovedì 13, proposta nel contesto del “Cantiere speranza” e che ha avuto come spunto la presentazione del libro “‘Ecco l’uomo’ (Gv 19,5). Paolo VI. Papa, Santo” del vescovo emerito di Mondovì, monsignor Luciano Pacomio (“Ho vissuto da giovane prete i primi anni di quel pontificato, ed ero un prete che viveva un periodo straordinario della Chiesa e se ne rendeva conto appena”). Relatore d’eccezione l’arcivescovo di Torino, monsignor Roberto Repole, che ha centrato il suo intervento su Concilio e Sinodalità.

Il vescovo di Casale, monsignor Gianni Sacchi, ha sottolineato che “c’è chi ha parlato di un quarto d’ora di follia di papa Giovanni XXIII, quando ha annunciato l’indizione del Concilio Vaticano II, ma con lui c’era lo Spirito Santo. Forse sono i folli che cambiano il mondo. Il Vaticano II è e rimane un Concilio giovane, è più che mai necessario tornare  a quello straordinario momento di grazia. E’ stato una vera profezia per questa Chiesa e mi auguro che continui ad esserlo ancora per molti anni”. Per evidenziare il profondo cambiamento scaturito dal Concilio, monsignor Sacchi ha citato il teologo svizzero Hans Kung, morto nel 2021 a 97 anni,  e che partecipò come osservatore al Concilio:  “Se questo Concilio non ci fosse stato, nella Chiesa cattolica si continuerebbe a considerare libertà di religione e tolleranza come prodotti nocivi del moderno spirito del tempo. Se questo Concilio non ci fosse stato, la Chiesa cattolica continuerebbe a sottrarsi al movimento ecumenico, conducendo contro le altre confessioni guerre fredde con penna e lingua appuntite. Se questo Concilio non ci fosse stato, le altre religioni mondiali sarebbero per la Chiesa ancor sempre oggetto soprattutto dello scontro negativo e polemico e di strategie missionarie di conquista.  Se questo Concilio non ci fosse stato, la liturgia cattolica continuerebbe ad essere una liturgia clericale celebrata in una lingua straniera incomprensibile, alla quale il popolo ‘assiste’ solo passivamente, in ‘uffici solenni’ in latino e in ‘messe private’ sussurrate rivolti a una parete”.

L’arcivescovo Repole si è soffermato sulla forma di Chiesa emersa dal Concilio, facendo riferimento alla Lumen Gentium: “La Chiesa è un ‘mistero’, ha a che fare con il grande progetto del Padre per tutta l’umanità, che ha cominciato a realizzarsi con il Figlio e prosegue con il soffio dello Spirito Santo. Se si toglie Dio dalla Chiesa,  non è più della Chiesa che si parla. Che cos’è questo mistero che prende carne nella storia? La comunità dei credenti in Gesù Cristo, che si realizza in modo pieno nella comunità cattolica, ma in modi diverso concerne anche i protestanti. Rispetto alla Chiesa piramidale, la Chiesa è un popolo che ha per capo Cristo, non il Papa o i vescovi”. Fino al Concilio, infatti, il Papa era capo assoluto e governava con la collaborazione dei vescovi e dei sacerdoti. Il Vaticano II ha ridefinito il ruolo dei vescovi, richiamandone la “collegialità” nel solco degli apostoli.

Quindi, “la Chiesa abitata da Dio è formata da figli del Figlio, donne e  uomini che credono in Dio che hanno pari dignità e siamo innestati in Cristo con l’eucarestia. Si crea quindi un tessuto di fraternità fra noi e c’è una corresponsabilità che ci riguarda tutti: sono i prodromi della sinodalità”.

“Ma perché la Chiesa esiste?” si è chiesto monsignor Repole, facendo riferimento al decreto conciliare Ad Gentes. “Per annunciare il Vangelo – ha risposto -; il Concilio comincia a prendere atto che l’Occidente cristiano  non è più così cristiano. La Chiesa, ovunque sia, è sempre missionaria”.

L’arcivescovo ha pure evidenziato che “i due grandi caposaldi del pontificato di papa Francesco hanno radici condivise nel Concilio: la ‘Chiesa in uscita’, che richiama l’esortazione apostolica di Paolo VI  Evangelii Nuntiandi, poi la sinodalità: se tutti siamo figli del Figlio, per comprendere dove lo Spirito ci sta dirigendo e come, è necessario che ci mettiamo in ascolto chiedendo allo Spirito ma anche confrontandoci tra di noi. Si esprime la corresponsabilità di tutti, ciascuno con il suo dono e il suo ruolo”.

Molti gli spunti e le suggestioni proposte da monsignor Repole (fra l’altro, l’invito a rileggere i testi conciliari): “L’unica strada per essere Chiesa in uscita è la sinodalità e la sinodalità è ciò che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. I linguaggi laicali devono essere intercettati nella Chiesa, altrimenti la Chiesa resta afona ad annunciare il Vangelo. Tutto semplice? No. Sono passati 60 anni, occorre far dialogare la Chiesa con la modernità. Il Concilio è stato celebrato in un’epoca in cui i cristiani erano la maggioranza. Oggi siamo una minoranza in un contesto multiculturale e multireligioso”.  L’invito è a “mantenere sempre lo stato di discernimento per cogliere ciò che è compatibile con il Vangelo e ciò che è contro il Vangelo”. Poi una serie di interrogativi, alla luce del fatto che l’evangelizzazione deve essere fondata sulla  testimonianza dei cristiani: “Il problema della Chiesa in uscita è: che cosa esce quando usciamo? Quanti battezzati vivono esplicitamente il battesimo ricevuto e i sacramenti?”. E ancora: “Oltre che ai bambini, siamo capaci di annunciare il Vangelo a giovani e adulti? Siamo attrezzati? Nel cristianesimo ci sono risorse enormi per il mondo e noi non siamo capaci di renderle disponibili”