Non è un codice e non fu scritto a Camaldoli. Il testo, poi conosciuto da tutti come Codice di Camaldoli, uscì nel 1945 con il titolo: «Per la comunità cristiana. Principii dell’ordinamento sociale a cura di un gruppo di studiosi amici di Camaldoli». La sua elaborazione fu lunga e complessa. Ma tutto cominciò quel luglio 1943, quando un gruppo di intellettuali cattolici dal 18 al 24, si riunì al monastero camaldolese nel comune di Poppi, per iniziare l’affascinante avventura di un confronto con la realtà della società italiana e con le piste possibili per un suo miglioramento. A 80 anni da quell’incontro sempre a Camaldoli un convegno ha ricordato quella vicenda che si colloca mentre tutto stava per scatenarsi: il 19 luglio gli alleati bombardarono Roma, il 25 luglio fu destituito il Duce. Lo stesso Ugo De Siervo ha sottolineato nella sua introduzione ai lavori del mattino di sabato 22 luglio come per difficoltà oggettive «metà dei coinvolti non vennero a Camaldoli e poi ci fu una notevole difficoltà della scrittura». Per il giurista, già presidente della Corte costituzionale, ricordare quel documento è quindi «uno stimolo alla responsabilità di fronte a situazioni gravi e difficilmente correggibili». Poi si è dipanato il primo panel di interventi tra cui quello di Marta Cartabia (Università Bocconi, ex ministra della Giustizia). È stata lei a intessere la rete di richiami tra il Codice di Camaldoli e la Costituzione repubblicana. «Il codice è frutto di un pensiero che si è fatto interrogare dai problemi più scottanti e ha saputo offrire punti di sintesi e punti di incontro che hanno facilitato il lavoro di tutte le forze politiche nella Costituente. Sono poche le dipendenze letterali dirette fra i due testi. Il codice non aveva pretesa di definitività ma fu un contributo, con le altre culture» alla stesura della Costituzione: «l’influenza del Codice ci fu» soprattutto con l’impostazione che gli intellettuali cattolici diedero sul «rapporto tra persona società e stato, e rapporti economici sociali», come via di cambiamento dal totalitarismo fascista e dall’impostazione meramente liberale e capitalistica.
Nel suo intervento Cartabia ha messo in luce il personalismo lapiriano come faro, di fatto, all’interno della Costituente e poi ne ha sottolineato un aspetto. Gli studiosi che scrissero il Codice di Camaldoli «traevano ispirazione dalla dottrina sociale della Chiesa. Ma fattore decisivo fu che il Codice diede sviluppo al pensiero sociale e non fu mera riproposizione del magistero dell’autorità ecclesiastica. C’è un’autonomia del codice che va sottolineata: si rivolge alla comunità cristiana ma per dare un contributo alla vita civile e politica per un mondo più umano e più giusto. In ambito civile i protagonisti di Camaldoli sapevano di doversi confrontare con un contesto sociale diviso, anche anticlericale».

Nel pomeriggio del 22, inoltre, altro panel di interventi tra cui quello di Francesco Bonini (Università Lumsa) che ha sottolineato la concretezza del Codice di Camaldoli, sui temi affrontati, ma soprattutto ne ha parlato come documento che definisce un campo: «C’è cristianità e identità, non in senso autoritario ma come definizione del campo. Si tratta di annotazioni impressionistiche all’interno di un processo, gestito da gruppo coerente per storia e collocazione, dove l’ispirazione ecclesiale genera un campo culturale che è l’antitesi dottrinale al fascismo.
Il Codice è il primo elemento di questo campo culturale che darà molti frutti, ci saranno infatti varie coltivazioni in questo campo». Inoltre per Bonini, in quel testo si esplicita apertamente il «tertium datur: il mondo non è diviso tra individualismo e antindividualismo. Ricordiamoci Maritain, c’è il personalismo cristiano». Ma se questi due interventi (Cartabia e Bonini) hanno dato la caratterizzazione generale dell’approccio del convegno della scorsa settimana, molte più sono state le voci. Sono infatti intervenuti Alberto Guasco sugli antefatti e le ispirazioni del Codice. Sul ruolo dei teologi la relazione è stata di don Angelo Maffeis. Alessandro Angelo Persico ha parlato del mito e della realtà del Codice e anche del processo di composizione. Poi l’analisi dei temi concreti: la famiglia (Marialuisa Lucia Sergio), l’educazione (Daria Gabusi), il lavoro (Sebastiano Nerozzi), l’economia (Enrica Chiappero Martinetti), la vita internazionale (Paolo Ancanfora).
L’annunciato volume degli atti che ne uscirà sarà uno dei primi e forse il più completo approccio storico a quel testo, che non è un codice (non è un testo giuridico, non è un manifesto partitico) né è stato scritto a Camaldoli (ma frutto di analisi e rielaborazioni fatte da intellettuali di prim’ordine). Fu semmai una porta aperta, dialogante e concreta, generatrice di processi nella società italiana.