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Italia finita nella rete delle regole europee

Il governo italiano si trova in una tempesta di decisioni cruciali e tensioni crescenti, mentre affronta dilemmi economici e sfide politiche interne e europee

Quando troppi problemi arrivano tutti insieme finisce che “la confusione sia grande sotto il cielo”, anche se non sempre la “situazione è eccellente”, come vorrebbe l’antica saggezza orientale.

È un po’ quello che sta capitando al governo italiano in questo scorcio di fine anno per le sue contrastate relazioni con le Istituzioni europee di fronte a un ingorgo di impegni da sempre rinviati e con nodi che adesso vengono al pettine. Nel giro di poco più di un mese Roma deve dare risposte a Bruxelles su nodi non da poco: dalla sollecitata ratifica del Meccanismo europeo di stabilità (MES) all’intesa sul Patto di stabilità e crescita; dalla risposta attesa da tempo a Bruxelles sulla riforma delle concessioni balneari e sulla riduzione dei tempi di pagamento della nostra Pubblica Amministrazione, sulle quali è avviata una pesante procedura di infrazione, fino alla revisione del “Piano nazionale di ripresa e resilienza” (PNRR), dalla quale dipendono le future rate di pagamento per l’Italia, già largamente in ritardo.

Come se non bastasse la maggioranza di governo deve fare i conti con una riduzione della crescita tanto per il 2023 che per il prossimo anno, insieme ad un probabile aumento del deficit e del debito pubblico italiano, avviato verso la soglia di 3000 miliardi di euro, pari a oltre il 140% del Prodotto interno lordo, con un’impennata del costo per gli interessi che nel 2024 supererà i 100 miliardi di euro. Tutti elementi che peseranno nella valutazione che farà Bruxelles del progetto di legge di bilancio attualmente in discussione al Parlamento.

Non aiuta a attenuare il problema la prospettiva di una decisione sui futuri allargamenti dell’Unione verso i Paesi balcanici, che giustamente l’Italia sostiene, senza però dimenticare che farsene carico comporterà modifiche importanti per le risorse future del bilancio comunitario e la loro distribuzione, già oggi sotto pressione di fronte alla proposta della Commissione europea di una immediata integrazione dell’attuale bilancio di 66 miliardi di euro per i costi della guerra in Ucraina e per i migranti, risorse che pochi sono disposti a versare.

Si aggiungono a tutto questo i problemi posti ai due principali partiti della maggioranza di governo dal voto al Parlamento europeo il 23 novembre sulla riforma dei Trattati UE, con il previsto voto contrario della Lega e quello imbarazzato di Fratelli d’Italia che, con l’occasione, dovrà dire dove conta collocarsi nell’emiciclo di Strasburgo, se con l’attuale e probabile futura maggioranza o se rassegnarsi a stare con la minoranza, fuori dai giochi che decideranno i futuri vertici europei e le politiche UE per la legislatura 2024-2029.

Senza la pretesa di riassumere questi complessi contenziosi tra Roma e Bruxelles una cosa appare chiara: sarà difficile sciogliere questi nodi senza uscire, in particolare per Fratelli d’Italia, dall’ambiguità coltivata in questo primo anno al potere, tra l’orgogliosa affermazione della presunta sovranità della “nazione” italiana e la coerenza con gli impegni presi con l’Unione Europea dai quali dipendiamo, senza perdere altra credibilità proprio in una fase dell’economia che vede l’Italia particolarmente in difficoltà e bisognosa della comprensione dei suoi partner.

Certo tutti dovranno fare i conti con le elezioni europee del giugno 2024, dove il voto proporzionale crea competizione anche, e non poco, tra alleati o presunti tali: quanto basta per assistere ad una campagna elettorale che peserà soprattutto sui rapporti all’interno della maggioranza e non c’è riforma costituzionale e decreti securitari che possano nascondere le tensioni, peraltro già ampiamente evidenti.